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EVEREST EXPEDITION 2018

Dall’idea alla realizzazione

La spedizione


Nel 1996, mentre sorvolava la Terra a bordo dello Space Shuttle Columbia, Maurizio Cheli fotografò l’Everest. Guardare quel pezzo di mondo da una prospettiva decisamente insolita, attraverso la macchina fotografica, a poca distanza dal vuoto dello spazio, fu una grande emozione. Quel momento segnò l’inizio di un nuovo sogno: raggiungerne la vetta. Con gli anni, anche quell’avventura è diventata realtà. L’Everest, il “Tetto del Mondo”, ha sempre esercitato un fascino unico sugli alpinisti e non solo. Chiunque, almeno una volta nella vita, anche solo per un istante, ha sognato di poter arrivare in cima.

Guarda il diario di bordo della spedizione

Tutto in un istante, il libro di Maurizio Cheli

Maurizio Cheli e Marco Camandona

EVEREST EXPEDITION 2018


Scalare l’Everest, sebbene il numero di persone che, ad oggi, hanno raggiunto il “Tetto del Mondo” non sia esiguo,  è un’impresa alpinistica di grande rilievo e importanza. Partecipare ad una spedizione su questa montagna rimane, nonostante tutto, un’avventura unica e non per tutti. Per affrontare la salita bisogna avere una grande esperienza alpinistica e una preparazione fisica eccellente. A tutto questo, vanno abbinati molta umiltà e un grande rispetto per la montagna, per le sue popolazioni.

La road map verso la cima

Il periodo


La spedizione si è svolta nel periodo Aprile - Maggio 2018. Dopo il trasferimento a Kathmandu, il programma prevedeva il trasferimento al Campo Base con un trekking di circa 10 giorni. Nelle settimane seguenti, si è proceduto all’“acclimatazione” con escursioni ai campi più alti: il Campo 1 a 6400 metri, il Campo 2 a 6900 metri e il Campo 3 a 7400 metri. Un allenamento progressivo e continuo, in attesa della finestra meteo che si è aperta tra la seconda e la terza settimana di Maggio. La vetta è stata raggiunta il 17 maggio 2018. La spedizione è stata seguita dalla pagina nazionale domenicale dedicata alla montagna dal quotidiano La Stampa di Torino.

Il Monte Everest


ll Monte Everest, con i suoi 8850 mt di altitudine, è la vetta più alta della Terra. Situato nella catena dell’Himalaya, al confine tra Tibet e Nepal, è considerato un luogo dal grande valore spirituale. I Tibetani la chiamano “Chomolungma”, che significa “Madre dell’Universo”. Il nome nepalese, invece, è “Sagaramatha”, cioè: “Dio del Cielo”. Nel 1852, venne chiamata “Cima XV”. Il nome attuale fu introdotto nel 1865 dall’inglese Andrew Waugh, governatore generale dell’India, in onore di Sir George Everest, che lavorò per molti anni al servizio della corona inglese come responsabile dei geografi britannici in India.
“Ci sono molti modi per raggiungere il cielo. Io l’ho fatto a bordo di uno Space Shuttle e pilotando aerei. Ora voglio farlo raggiungendo la vetta più alta del mondo con le mie gambe”.

Maurizio Cheli

La mia guida

Marco Camandona


Marco Camandona vive in Valle d’Aosta ed è sposato con la sua compagna di vita, Barbara. Alpinista di fama internazionale, è guida alpina e maestro di scialpinismo, disciplina di cui è allenatore federale. Giudice della Federazione Internazionale di scialpinismo, Camandona è anche membro del Soccorso Alpino della Valle d’Aosta. Marco è salito sulle vie più impegnative delle Alpi, dal Monte Bianco alle Dolomiti. Dal 1996, ha preso parte a più di 20 spedizioni alpinistiche e ha intrapreso viaggi di avventura in tutto il mondo, salendo su cinque delle montagne più alte di ogni continente. Per sette volte è salito su una cima di 8000 metri senza l’ausilio dell’ossigeno. L’alpinista è tra i pochi eletti al mondo ad essere salito sulle tre montagne più alte: l’Everest (8850 mt), nel 2010, il K2 (8610 mt), nel 2000, e il Kangchenjunga (8586 mt), nel 2014. Inoltre, ha scalato le terribili Annapurna (8091 mt), nel 2006, e Makalu (8463 mt), nel 2016. Camandona, dal 2015, si dedica ad un progetto umanitario in Nepal, dando vita, con la sua squadra, alla Onlus “Sanonani, che in nepalese significa “Piccolo Bambino”. Un aiuto rivolto ai bimbi soli, ma, anche, a quelle famiglie che non possono dare sostentamento ai numerosi figli. L’intento è quello di creare una vera e propria casa famiglia dove trovare un pasto caldo, un letto e tutto il sostegno necessario.

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