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MAURIZIO CHELI
Astronauta

Mission specialist a bordo dello Space Shuttle Columbia STS-75

LA MISSIONE STS-75

Il primo Mission Specialist italiano


È il 1992 quando Maurizio Cheli, dopo aver vinto una rigorosa selezione pubblicata nel 1991 dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), entra a far parte della European Space Agency (ESA) e viene inviato al Johnson Space Center di Houston. Alla Nasa. Per lui sta per iniziare una nuova, entusiasmante fase della carriera e della vita. Sarà il primo non statunitense a prendere parte al corso che gli permetterà di conseguire la qualifica di “mission specialist”: astronauta professionista. Prima di allora, tutti i non americani che avevano volato nello spazio lo avevano fatto come “payload specialist”, ovvero come “specialista di carico utile”. La loro partecipazione al volo era  sempre stata strettamente collegata ad una specifica competenza scientifica personale connessa ad uno degli esperimenti ospitati a bordo.

Dopo anni di addestramento, nel 1996, a bordo dello Space Shuttle Columbia, Cheli parteciperà alla missione STS-75 Tethered Satellite. Sarà il primo italiano a ricoprire il ruolo di “mission specialist”.

“La notte tra il 20 e il 21 luglio 1969, ad appena 10 anni, mi ritrovo, come milioni di altre persone sparse per il mondo, ad assistere al più grande exploit nel campo della storia dell’astronautica. Sullo schermo di una TV in bianco e nero potevo distinguere l’immagine della sagoma di una tuta spaziale che scendeva i gradini di una scaletta di un velivolo spaziale per posare un piede sulla Luna. L’impossibile era diventato possibile. Uscendo a guardare la Luna, quella sera mi ritrovai a pensare che quell’oggetto così lontano non sarebbe mai più stato qualcosa di misterioso e sconosciuto.

Ero letteralmente affascinato da quello che avevo visto: non vi erano dubbi, da grande avrei fatto l’astronauta.”

il decollo dello Space Shuttle Columbia

Il giorno del lancio


"La tuta è calda. Nonostante il sistema interno di raffreddamento a liquido, il paracadute non costituisce di certo un cuscino particolarmente comodo, ma, in questo momento, non c’è altro posto in cui Maurizio vorrebbe essere. Il conto alla rovescia prosegue regolarmente. A T-2 minuti, gli astronauti chiudono la visiera dei caschi. Improvvisamente, i suoni si attutiscono. I membri dell’equipaggio sentono il respiro dei compagni farsi più intenso. Maurizio rivisita, velocemente, con la memoria, le possibili situazioni di rischio più critiche che possono verificarsi subito dopo il lancio, le procedure di intervento previste per il suo ruolo e quelle da effettuarsi in caso di emergenza. Questa volta si fa sul serio.

A T-6 secondi inizia la fase denominata “main engine sequence starts”: parte la sequenza di accensione dei motori principali. Il conto alla rovescia raggiunge T-0. Maurizio sente le vibrazioni della struttura aumentare notevolmente. Quasi in simultanea, vede la rampa di lancio sfilare lentamente a lato del finestrino sinistro. Sta partendo".

Team

L'equipaggio del Columbia


L'equipaggio del Columbia STS-75 era formato da ottimi professionisti. Andy, il comandante, era al suo terzo volo. Si trattava di un pilota collaudatore proveniente dal Corpo dei Marines, con un carattere diretto e molto “easy going”, alla mano. Scott era il pilota. Era anch’egli un collaudatore dell’USAF, l’aeronautica militare degli USA. Franklin, dal punto di vista della formazione professionale, era un astrofisico, nato in Costa Rica e con una interessantissima carriera scientifica. A bordo della missione, ricopriva il ruolo di “payload commander”, ossia il responsabile di tutto il carico scientifico della missione. Era alla sua quinta missione. Jeff era anche lui un astrofisico. Era alla sua quinta missione. Era un uomo per sua natura attratto da qualunque aspetto culturalmente interessante, tanto che la sua passione per le arti lo aveva spinto anche a imparare discretamente l’italiano. Umberto  svolgeva a bordo il ruolo di “payload specialist”, specialista di carico utile. Astrofisico anche lui, aveva lavorato, fin dall’inizio, agli esperimenti legati al satellite che veniva trasportato nella stiva. Claude era un astrofisico svizzero. Astronauta dell’ESA, aveva già un volo al suo attivo.

Mission Specialist 2 (MS2)


A Maurizio venne assegnato il compito di Mission Specialist 2 (MS2), ovvero di ingegnere di volo della navetta. Si sarebbe seduto in cabina di pilotaggio, al centro, tra il comandante ed il pilota, e li avrebbe aiutati nella gestione del veicolo nelle fasi dinamiche del volo,del  lancio e del rientro. In orbita si sarebbe occupato, con Scott, della gestione dei sistemi dello Shuttle. In più, gli venne affidata la responsabilità di due esperimenti di combustione a bordo, all'interno della cabina.

L'esperimento compiuto dalla STS-75

Il Tethered Satellite System (TSS)


Il principale carico della missione era rappresentato dal Tethered Satellite System (TSS), il “satellite al filo”. La dinamica orbitale dei due corpi, il TSS e la navetta, così legati, presentò non pochi aspetti di differenza rispetto alle simulazioni effettuate a terra.

Il rilascio del satellite fu come da manuale e, già alla distanza di qualche centinaio di metri, gli strumenti di bordo registrarono subito un flusso di corrente, come la teoria aveva previsto. Non fu necessario arrivare alla distanza finale programmata di 21 km per poter constatare l’efficacia dell’esperimento: l’intensità della corrente, in un sistema di questo tipo, è direttamente proporzionale alla distanza e raggiunge il suo valore massimo, appunto, quando questa è massima.

A circa 10 km, però, un improvviso arco elettrico bruciò, istantaneamente, il filo. Il satellite, libero, si separò dallo Shuttle e, dopo alcuni giorni, bruciò al momento del rientro nell’atmosfera. Un’indagine dettagliata post volo, appurò che la causa dell’arco elettrico era dovuta ad una imprecisione nelle lavorazioni meccaniche, effettuate prima del lancio, che avevano intaccato il rivestimento isolante del cavo.

Questo esperimento, così come altri effettuati nel corso dell’attività di esplorazione dello spazio, dimostrò non solo la necessità di dover sistematicamente provare teorie o soluzioni tecniche, ma, anche, come lo spazio costituisca un ambiente privilegiato di prova e di sperimentazione.

Si va ai limiti della conoscenza per scoprirvi sempre qualcosa di nuovo.

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